Lunedì 11 febbraio: Non mi è mai piaciuta questa cittadina insipida. I vaghi ricordi di quando venivo da bambina sono dominati dal grigio e dalla noia. Tranne per zia Carola. Stavo bene con lei, il tempo passava veloce quando mi raccontava le sue storie o quando mangiavo le sue crostate. Povera zia Carola, se mi trovo ora in questa città di merda è proprio per lei e per l’eredità che mi ha lasciato. Mi conosceva bene, ma lasciarmi questa casa fatiscente non è stata proprio una grande idea. Però quei sessantamila euro non mi dispiacciono affatto: finite le pratiche burocratiche che mi terranno imprigionata qui per almeno due mesi, saprò come rifarmi. Intanto questo diario mi farà compagnia, chissà se in questo buco infernale troverò qualche altra compagnia oltre a quella del diario.
Venerdì 15 febbraio – Questi primi giorni sono stati di una monotonia infernale tra notaio, banca, spesa al supermercato, onoranze funebri… a ancora notaio, banca, spese e pratiche varie e così via.
Alla sera, dopo mangiato, il crollo totale … neanche il tempo di uscire di casa… per vedere cosa, poi? Ho pure dimenticato a casa il mio vibratore, e senza di lui, e con la fantasia ai minimi storici, c’è poco da masturbarsi… Voglio un uomo, cazzo!
Venerdì 22 febbraio – Da qualche parte ci deve essere un Dio guardone che mi legge il diario, altrimenti non so spiegarmi come il mio desiderio, trascritto sul mio fedele compagno di noia, si sia avverato in neanche 24 ore. Eh si, la mia passerina si è liberata dalle ragnatele che la imprigionavano ormai da tre mesi: finalmente una chiavata, una santa, benedetta chiavata! Rimedio naturale contro la noia e l’apatia di questi miei primi giorni imperiesi! E quindi qualcosa da scrivere di sensato ce l’ho, finalmente!
Sabato sera dopo aver ripulito casa da cima a fondo (anche lì ragnatele!) mi sono concessa un vinello al bar qui all’angolo. Appena entrata l’età media è scesa improvvisamente da 80 a 78! Stavo già pensando di tornare a casa, e bermelo il mio vinello, quando qualcosa in quel locale mi fece cambiare idea: un fottuto meraviglioso biliardino! Il mio umore cambiò repentinamente e decisi di fare buon viso a cattivo gioco: mi sarei ubriacata e avrei sfidato tutti quei baldi giovanotti sui 70 al buon vecchio calcio balilla!
Insomma, sembrava questa la prospettiva più rosea della serata, quando ancora una volta un particolare insignificante mi colpì: un quotidiano locale aperto sulla pagina degli annunci. I titoli mi stupirono non poco: “Giovane schiavetto cerca Mistress che lo sodomizzi a dovere”, “Porco cinquantenne cerca milf che gli faccia provare cosa vuol dire uno strapon in culo” e così su questo andazzo, sembrava che gli abitanti maschi di Imperia impazzissero all’idea di prenderlo nel culo.
Gli annunci erotici di Imperia trasgressiva
Cominciai la mia prima partita di biliardino, ma la mia attenzione durò poco: un tarlo si stava insinuando nel mio vizioso cervello. Nonostante fossi distratta , battei sto vecchietto simpatico con quattro goal di scarto. Lo salutai con un bacetto, presi il quotidiano sul tavolo e me ne uscii fuori a leggerlo con il mio bicchiere di vino in mano.
Te la faccio breve mio caro diario: chiamai un numero quasi a caso, colpita più che altro dalla ripetizione ossessiva della parola schiavo. Mi rispose una voce esitante, quasi spaventata: ci mettemmo d’accordo per vederci da lì ad un’ora a casa mia.
Non avevo timore, nè niente: il tipo al telefono mi sembrava innocuo, e di solito, quando ho certe sensazioni non sbaglio.
Infatti, così stavano le cose visto che mi si presentò questo tipo bassino sulla quarantina, bruttarello ma con un bel fisico, che volle leccarmi i piedi appena entrato in casa. Dopo questo saluto iniziale, di convenevoli ce ne furono davvero pochi: mi chiese di camminargli addosso, frustarlo e poi incularlo con lo strapon come gran finale. Venne come un disperato, rantolando dal piacere. Dopo lo obbligai a leccarmela e a scoparmi. Non era malaccio il tipo, meglio di quanto pensassi. Voleva dormire a casa mia, ma non ne avevo nessuna voglia, volevo godermi il mio post orgasmo da sola senza uomini appicicaticci ad insolentirmi con le loro richieste. Glielo feci capire con garbo e ci commiatammo.
Non gli avevo chiesto nemmeno il nome.
Domenica 24 febbraio – Ho rivisto il caro Marcello (questo il nome dell’ometto di due sere fa) anche ieri.
Lui questa volta non è riuscito a scoparmi, e la parte del maschio alfa l’ho dovuta fare io con il mio strapon. L’ho fatto venire due volte. Io non sono venuta. Che palle.
Mi sa che stasera torno nel barettino e, fra un vinello e una partita a biliardino con la gioventù locale, mi segno qualche numero da chiamare dal quotidiano, perennemente aperto sulla pagina degli annunci. Sì, mi sa che farò proprio così. Ho voglia di divertirmi, ho voglia di scopare, ho voglia di godere come una porca trasgressiva.
Sabato 30 marzo – Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ho aggiornato questo diario. Quali sono stati i miei ultimi pensieri? “Mi sa che stasera torno nel barettino, mi segno qualche numero da chiamare dal quotidiano. Ho voglia di divertirmi, ho voglia di scopare” Ah cazzo, se l’ho esaudito il mio desiderio! Questo diario porta fortuna, basta che ci scriva sopra quello che voglio fare e tempo 24 ore (al massimo!) i miei sogni si realizzano.
Mi ha portato così tanta fortuna questo mio amato diarietto che l’ho dovuto necessariamente trascurare. Perché mentre si vive, non si può descrivere quello che si sta vivendo, mi sembra ovvio. O vivi, o descrivi. Ora però che ho un po’ di calma, qualcosina la appunterò. Qualcosina, ovvio, perché a scrivere tutto ci metterei un mese. E ora che ho cominciato a divertirmi in questa adorabile e – chi l’avrebbe mai detto – trasgressiva città, non ho proprio voglia di rintanarmi un intero mese a scrivere le mie memorie.
Il mio schiavo occasionale pronto a farsi aprire
Quella sera ritornai al bar. Feci un pò di convenevoli con i soliti avventori e mi fiondai sul mio quotidiano preferito, rubrica “Imperia Trasgressiva”. Quella sera però c’era un avventore che non avevo mai visto prima: un signore distinto sulla cinquantina. Proprio lui si avvicinò a me e mi chiese se poteva offrirmi qualcosa da bere. Accettai. Lui bevve il suo cognac tutto d’un fiato per poi dirmi a bruciapelo “Ti osservo da un po’ e so cosa cerchi. Mi piacerebbe essere il tuo giocattolo di stasera”. C’erano garbo e sicurezza in lui, mi colpì. Finimmo di bere, chiacchierammo giusto un po’ (parlammo di letteratura russa, era anche una persona colta), finché lo portai a casa mia.
Appena entrati, si trasformò: si buttò a terra implorandomi di pisciargli addosso, di maltrattarlo, di umiliarlo, di prenderlo a calci nelle palle. Ero shockata. Fu un cambiamento davvero repentino, non riuscivo a capacitarmi di come una persona così distinta potesse perdere la dignità in così breve tempo. Dopo questo iniziale turbamento, decisi di accontentarlo. E di accontentare me stessa. Faccio fatica a rivivere quei momenti, perché quello che avvenne mi fece scoprire parti di me , che non pensavo di avere.
Nella vita mi ero divertita e fatto cose folli, e anche a letto non mi ero fatta mancare nulla. Ma questa volta era diverso: tutto ciò che mi chiedeva il mio “lui di una notte” andava a pungolare le mie parti più perverse ed estreme. Cominciò col chiedermi di mettergli delle mollette per vestiti sui capezzoli e sulle palle, immobilizzandogli mani e gambe.
A quel punto era chiaro ad entrambi cosa sarebbe successo: gli camminai sul corpo nudo con i miei tacchi per diversi minuti, prima di pisciargli in faccia. Mugolava. Si contorceva. Io ero bagnatissima, lui non veniva ma sembrava godesse più di me. Si prendeva tutta la mia pioggia dorata spalancando la bocca per berla tutta, fino all’ultima preziosa goccia.
Dopo mi ha chiesto di picchiarlo usando tutto ciò che mi veniva in mente: presi una sedia e gliela sbattei sulle ginocchia, rischiando di spezzargliele. Urlò dal dolore e dal piacere. Lo sodomizzai con il mattarello con cui mia zia stendeva la pasta sfoglia. Ancora urla di dolore miste a piacere. Ma mi incitava, mi supplicava di continuare.
Mi chiese di usare il fuoco. Lì cominciai a farmi prendere la mano e dovetti fermarmi prima di ustionargli tutti i genitali. Sembrava non gli bastasse mai. Ormai, però, qualcosa era successo dentro di me. Non mi limitavo più ad accontentare le sue richieste. Andavo di testa mia.
Ero in una specie di lucida follia: cominciai ad infilargli aghi in tutte le parti del corpo, e quello fu solo l’inizio. Presi della carta vetrata che avevo utilizzato il giorno prima per sistemare le pareti del soggiorno, e cominciai a sfregargli gambe e pancia fino a farlo sanguinare.
Gli feci una sega con la stessa carta vetrata. Venne copioso, ma il suo cazzo era martoriato, arrossato e ferito. Ormai ero in preda ad una forma di sadismo mistico, non riuscivo a fermarmi. Andai in bagno a prendere l’alcool. Non volevo medicarlo. Lo buttai abbondante sulle ferite. Dovetti imbavagliarlo con alcuni miei slip usati. Penso sarebbe venuta la polizia per le urla. Continuava ad agitarsi, per cui lo detersi con dell’acqua e questa volta lo medicai davvero.
Cominciavo a calmarmi. Lui mi guardava con le lacrime agli occhi, di gioia.
Lo guardai a mia volta e non so perché mi venne in mente quella frase meravigliosa di Nietzsche “Quando guardi a lungo nell’abisso, puoi pur stare certo che l’abisso guarderà dentro di te“. Guardavo lui. Guardavo il suo pene. Guardavo il machete ricordo di una vacanza in Honduras. Guardavo il suo pene… guardavo i suoi occhi… guardavo il suo pene… il suo pene… il suo pene…
Lascia un commento